Dieci anni dopo #escile, tra linguaggio, social, moralismi e ipocrisie mediatiche: ricordano un fenomeno decisamente dimenticabile.
Sono sempre stato un grande fan della ghiandola mammaria, tanto da lanciare anche un sito ad hoc che magari un tempo riprenderò. Ma non è questo di cui vogliamo parlarvi in questa sede, ché magari ne dovrei piuttosto parlare con un professionista. Piuttosto vogliamo parlarvi di un fenomeno di una decina d’anni fa, quando eravamo tutti un po’ più gretti e meno politically correct.
Era il 2015, l’anno definito da Vice, l’anno delle tette – già nel permalink.
La cosa interessante – rivista oggi – non è tanto stabilire se quel pezzo avesse ragione o meno nel parlare di “sovraesposizione” o addirittura di rigurgito collettivo (io, ad esempio, rigurgiti non ne ho mai avuti) quando la normalità con cui si parlava di pagine come “Condividiamo le nostre amiche tettone”, trattate come folklore da timeline, quando qualche anno dopo format come “Mia moglie” sono diventati caso nazionale e scandalo morale.
Non è tanto cambiato il contenuto, è cambiata la percezione. È cambiato il filtro culturale con cui lo leggiamo. All’epoca sembrava tutto giocoso, sopra le righe, sì, ma accettabile (magari accettabile non lo era, ma tant’è). Oggi facciamo fatica anche solo a pronunciarlo senza sentirci un filo a disagio.
#Escile: il tormentone che sembrava innocuo (e forse non lo era)
L’origine simbolica del tutto passa da Emily Ratajkowski, anche se la sua colpa, in fondo, è stata semplicemente esistere dentro un’estetica che internet aveva già deciso di divorare. Lei le tette le aveva già mostrate professionalmente mille volte, ma il punto non era vederle: era chiederle. Era trasformare il desiderio in linguaggio collettivo, in rituale, in coro.

“Escile” è diventato un commento automatico. Lo si scriveva ovunque. Sotto la foto delle modelle, certo, ma anche sotto quelle di ragazze comuni, di conoscenze, di donne che magari stavano solo cercando di postare una foto carina, punto. Praticamente a ogni amica donna dottata di seno presente su Facebook era stato chiesto di uscirle.
Ma ovviamente questo “gioco” collettivo non faceva ridere tutte.
Miss K8 e il momento in cui lo scherzo si rivela per quello che è
A raccontare quanto potesse essere violento quel clima ci ha pensato anche una figura completamente esterna al circo mediatico italiano: la dj olandese Miss K8.
Dopo una serata in Italia, pubblicò un post durissimo, che merita di essere ricordato testualmente:
“Last night I had an incredibly disappointing experience while playing for the Italian crowd at Discote Shock. It was beyond offensive to me that the crowd was screaming ‘escile’ at the end of my set. Such disrespect makes me feel that I don’t want to play in your country anymore.”

Tradotto senza alcun edulcorante: è stato umiliante, offensivo, talmente irrispettoso da farmi pensare di non voler più suonare in Italia. Non parlava di moralismi astratti. Parlava di un’esperienza concreta, subita dal vivo, faccia a faccia, altro che meme da tastiera.
E qui già si capiva che non eravamo di fronte a un “simpatico tormentone”, ma a qualcosa di più torbido, vischioso, culturalmente più problematico di quanto allora potessimo immaginare.
Le Iene e lo “scherzone” a Lucia Javorčeková (scherzone un cazzo)
Un passaggio di legittimazione di questo hashtag / meme (chiamiamolo come vogliamo) è stato l’approdo in tv. E qui, inevitabilmente, entrano in scena Le Iene.
Con il consueto spirito da programma moralizzatore quando conviene, ma scanzonato quando fa audience, Stefano Corti e Alessandro Onnis sono letteralmente andati fino in Slovacchia per chiedere a Lucia Javorčeková di “uscirle”. Così, in faccia. Con microfono, telecamera, risatine di contorno e la benedizione della regia.

Lo “scherzone” era tanto semplice quanto tristissimo: prendere il tormentone del web e portarlo nel mondo reale, davanti a una donna che, sì, cavalcava il fenomeno, ma che in quel momento diventava comunque bersaglio di una messinscena costruita sul suo corpo.
Il paradosso? Le Iene sono le stesse che in altre occasioni sono pronte a pontificare su rispetto, linguaggio, empatia, bullismo, molestie, dignità. Pronte a fare la morale su tutto, sempre, salvo poi partecipare attivamente alla costruzione di questi meccanismi quando il contesto è abbastanza “scemo” da sembrare innocuo.
Escile e la lingua: quando entra in gioco perfino la Crusca
Come se non bastasse, la parola “escile” ha avuto anche un’improbabile consacrazione linguistica. L’Accademia della Crusca si è trovata a dover chiarire se espressioni come “esci il cane” potessero o meno essere considerate corrette. Il verdetto, al netto delle semplificazioni giornalistiche, è chiaro: sono usi regionali fortemente radicati, ma non promossi a lingua standard.
Eppure, il solo fatto che un meme nato per intimare a una donna di mostrare il seno fosse finito in un dibattito accademico dice moltissimo su quanto il fenomeno fosse penetrato in profondità nel tessuto linguistico e culturale.
Dovevamo forse capirlo già allora che qualcosa non andava, senza attendere petaloso.
Dieci anni dopo: tra femminismo, OnlyFans e confini che non sappiamo più tracciare
Cosa ci resta, dieci anni dopo? Un web decisamente più polarizzato, come polarizzata è la vita (laddove in realtà esistono mille sfumature: “C’è il bianco, il nero…”).
Da un lato ci sono le femministe che odiano gli uomini e il patriarcato (anche a ben donde, chi sono io maschio bianco eterosessuale per dire il contrario? Non mi voglio macchiare di mansplaining) e da un lato pare che in tante le escano per avere i big like, e qualcuno ci faccia business anche su – grazie a piattaforme ad hoc che fanno miliardi ogni anno lasciando le briciole alle creator (di cui a volte scriviamo anche noi) che a volte decidono di rivendicare la scelta di uscirle come un atto politico – e vabbè magari lo è davvero.
E noi? Noi siamo lì in mezzo coi nostri mondi in testa tutti ostili e pericolosamente confinanti.
Tra la nostalgia per un web più sguaiato ma apparentemente “libero” e la consapevolezza che certe risate erano evitabili (personalmente non è che abbia mai riso troppo, ma non ho uno spiccato senso per l’humor nazionalpop). Tra chi si sente censurato e chi rivendica rispetto. Tra chi monetizza il corpo per scelta e chi non vuole che il proprio venga sistematicamente ridotto a merce collettiva.
Forse #escile è stato solo un hashtag / meme volgare destinato a marcire come tanti altri. O forse è stato il primo campanello d’allarme di un cortocircuito che oggi ci viene sbattuto in faccia ogni giorno.
