Venezia è una città bellissima, simbolo dell’Italia, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO e meta turistica ambita dai viaggiatori di tutto il mondo (la seconda città nel Paese dopo Roma). In pochi sanno che a diverse migliaia di chilometri (per la precisione 6595 chilometri di strada, secondo Google Maps – con un tragitto proibitivo o quasi) c’è un quartiere che ricorda Venezia, sebbene sia del capoluogo veneto la versione fatiscente.
Parliamo di Makoko, spesso definita la “Venezia dell’Africa”, quartiere situato ai margini di Lagos, capitale della Nigeria fino al 1991. Sebbene il nome possa evocare immagini pittoresche, la realtà di questa comunità è ben diversa (sebbene le case sul mare appaiano sempre affascinanti): povertà estrema, sovraffollamento e condizioni igienico-sanitarie precarie dominano la vita quotidiana dei suoi abitanti.
Le origini di Makoko: un salto nel tempo di circa 100 anni
Originariamente, un secolo or sono o giù di lì, Makoko era un tranquillo villaggio di pescatori fondato da migranti provenienti da Benin e Togo. Negli anni, con l’espansione incontrollata di Lagos (oggi la megalopoli conta oltre 21 milioni di abitanti!), la popolazione del quartiere è esplosa, passando dai pochi abitanti iniziali a una cifra stimata tra 150.000 e 250.000 persone. Nonostante la crescita, Makoko è rimasta ai margini dello sviluppo urbano, priva di infrastrutture essenziali e diritti di proprietà.
Le case di Makoko, costruite con legno resistente e sostenute da pali conficcati nella laguna, ospitano in media tra 6 e 10 persone ciascuna. I trasporti sono affidati a canoe strette e instabili, utilizzate non solo per gli spostamenti, ma anche per la pesca e il commercio. Qui le donne vendono cibo, acqua potabile e altri beni di prima necessità direttamente dalle loro imbarcazioni.
Da decenni, gli abitanti di Makoko vivono senza accesso diretto ad acqua potabile, elettricità o servizi di smaltimento dei rifiuti. I pochi bagni pubblici disponibili sono condivisi da decine di famiglie e scaricano direttamente nella laguna, aggravando i problemi ambientali e sanitari. L’unica fonte di acqua potabile è quella venduta da commercianti ambulanti, dato che il governo non fornisce alcun tipo di distribuzione gratuita.
La mancanza di scuole adeguate è un altro dei grandi problemi dell’area (uno dei più sentiti dagli abitanti). Al momento, sono disponibili solo poche strutture, tra cui una scuola galleggiante costruita su 250 bidoni di plastica riciclata, finanziata grazie al supporto di organizzazioni internazionali. Tuttavia, questa iniziativa non è sufficiente per far fronte alle necessità educative delle migliaia di bambini del quartiere.
Nel 2012, il governo ha demolito molte case e strutture galleggianti, citando ragioni legate alla salute pubblica e alla sicurezza. Tuttavia, molti residenti sospettano che il vero scopo fosse liberare i terreni per futuri progetti immobiliari. Le proteste e la pressione dell’opinione pubblica hanno quindi costretto le autorità a promettere un piano di riqualificazione, che prevede la costruzione di abitazioni per 250.000 persone e la creazione di circa 150.000 posti di lavoro.