La terza puntata de La Botta entra nel mondo delle party drugs tra club, rave e cocaina “di tutti”: cosa racconta davvero il podcast e perché ci riguarda.
Scorrazzando per YouTube, mi sono ritrovato davanti a un podcast che, già dal titolo, promette di non girare troppo intorno alle parole: La Botta. Due conduttori dall’aspetto dichiaratamente alternativo, ospiti che con le sostanze hanno a che fare per mestiere (psichiatri, sociologi, operatori, attivisti), e un obiettivo chiaro: parlare di droga senza criminalizzare, senza favole consolatorie, senza moralismi di facciata. Con un approccio sociologico e scientifico che, idealmente, dovrebbero avere tutti quelli che entrano nel dibattito pubblico sulle droghe: politici, comunicatori, opinionisti da talk show.
Perché – per citare il poeta – “la droga è bella anche se fa male”. Non sempre, non per tutti, non allo stesso modo. Ma spesso, e sempre quando l’uso diventa abuso, quando la ricerca di “qualcosa in più” si trasforma in dipendenza, quando si smette di scegliere davvero.
La Botta è un videopodcast di VD News e OnePodcast che parte da una domanda scomoda: se “le droghe fanno male, rovinano la vita e uccidono”, perché così tante persone continuano ad usarle? E davvero chi fa uso di sostanze si condanna automaticamente alla rovina? Puntata dopo puntata, il podcast prova a rispondere non con slogan ma con contesti: perché nessuno diventa dipendente da qualcosa che non gli piace, e gli effetti “stupefacenti”, per qualcuno, contano più degli effetti collaterali.
Per sette settimane, la serie attraversa il catalogo delle principali sostanze – dall’eroina al GHB, dalla cannabis alla psilocibina – e soprattutto scardina una parola che pesa come un macigno: “drogato”. Non come etichetta morale, ma come persona inserita in una rete di relazioni, precarietà, desideri, traumi, lavoro, notti che finiscono tardi e mattine che iniziano troppo presto.
La Botta, cosa racconta la terza puntata: dentro il mondo delle party drugs
La terza puntata si concentra sulle cosiddette party drugs, quelle sostanze che non vengono definite tanto per la loro struttura chimica, quanto per il contesto in cui vengono consumate: club, rave, festival, feste private. Il vocabolario è quello che conosciamo tutti, anche solo per sentito dire: MDMA, ketamina, ecstasy, popper, cocaina. E poi, in sottofondo, un alcol che continua a essere perfettamente legale e socialmente accettato, ma che di “droga” conserva tutti i tratti essenziali: dipendenza, danni alla salute, abbassamento delle inibizioni, violenza.
Il chimico Marco Martinelli, uno degli ospiti della puntata, parte dal concreto: come si presentano queste sostanze, in che forma circolano, quali sono gli effetti principali sul sistema nervoso. L’MDMA che aumenta in modo massiccio la serotonina, con quella sensazione di euforia, empatia, voglia di abbracciare il mondo. La ketamina, dissociativa, oggi ovunque: non più solo nei free party, ma dagli aperitivi al club patinato. La cocaina, che da “droga dei ricchi” è diventata – parole del podcast – “la droga di tutti”, trainata da un mercato in cui la purezza aumenta mentre il prezzo scende. Un prodotto perfetto per un mondo che – a causa del capitalismo, fatecelo scrivere a noi – chiede performance costante, produttività, notti lunghe e mattine operative.
Il punto centrale della puntata, però, non è la “classifica” delle sostanze. È il modo in cui queste droghe abitano la notte, i corpi, le relazioni. L’uso combinato con l’alcol, per esempio, che non è affatto un gioco: il mix fra etanolo e cocaina produce una molecola, il cocaetilene, particolarmente tossica per il cuore. Eppure, nei contesti di festa, questa combinazione è spesso normalizzata, quasi invisibile, raccontata più come folklore che come rischio concreto.
Riduzione del danno, miti da sfatare e il ruolo del drug checking
Uno dei passaggi più forti della puntata è quello dedicato al drug checking, il servizio che permette di analizzare le sostanze portate dalle persone prima del consumo e, insieme, fare consulenza sui modi d’uso e sui rischi. Elisa Fornero, responsabile di uno di questi servizi, spiega che in Piemonte il drug checking è entrato nei livelli essenziali di assistenza, dentro il capitolo della riduzione del danno.
Qui il podcast mette il dito in una ferita politica e culturale tipicamente italiana: chi fa riduzione del danno viene spesso accusato di “incentivare” il consumo. In realtà, i dati vanno nella direzione opposta: quando il risultato dell’analisi smentisce le aspettative (MDMA che in realtà è solo magnesio e cellulosa, oppure nuove sostanze psicoattive sconosciute), in una fascia molto ampia dei casi le persone scelgono di non consumare. Non è un invito a drogarsi: è una delle poche strategie che, concretamente, riducono davvero i rischi.
La puntata si prende anche la briga di smontare alcune leggende metropolitane dure a morire, come quella della “droga nel bicchiere” messa dallo sconosciuto generoso in discoteca. Il fenomeno esiste, ma è enormemente sovrarappresentato rispetto ai numeri reali. È molto più probabile – e molto meno raccontato – che la pressione arrivi dal gruppo di amici: “dai, prova”, “non fare il pesante”, “oggi ti sballi con noi”. L’episodio sposta quindi l’attenzione dal mostro esterno al contesto sociale in cui ci muoviamo: dal bicchiere “sporcato” al drink fatto apposta più carico, dagli sconosciuti ai rapporti di potere nei gruppi.
Intanto, in sottofondo, cambia anche il rapporto con l’alcol. Vengono citati studi internazionali che mostrano come gli under 35 bevano meno, o in modo diverso, rispetto alle generazioni precedenti. Aumentano le bevande analcoliche, calano le serate vissute come rito obbligatorio di sballo. Non è un’inversione totale, e non riguarda tutti i Paesi allo stesso modo, ma è un trend che prima o poi costringerà anche il mondo del clubbing a rivedere un modello economico costruito quasi interamente sul consumo di alcol.
Cocaina ovunque, rave demonizzati e un discorso pubblico ancora infantile
Nella parte finale, la terza puntata allarga il campo. La cocaina, racconta Elisa Fornero, è diventata davvero ubiqua: non più simbolo esclusivo delle élite, ma sostanza trasversale che attraversa classi sociali, ambienti lavorativi, gruppi di amici. Il crack ha preso il posto dell’eroina in molti contesti, il mercato si è spostato dove c’è domanda e margine. Intanto, più di mille nuove sostanze psicoattive (le famose NPS) hanno fatto la loro comparsa sul mercato europeo nel giro di pochi anni, rendendo ancora più difficile intervenire in caso di overdose o reazione imprevista: se non sai cosa è stato assunto, non sai neppure come curarlo.
Sul fronte culturale e politico, il bersaglio sono i rave e i free party, dipinti quasi sempre come territori di illegalità pura, mai come esperimenti di socialità alternativa. Il podcast ricorda come nel Regno Unito, negli anni ’90, la criminalizzazione dei rave fosse andata di pari passo con l’ascesa del clubbing commerciale e con un certo modo di intendere la notte: tavoli, liste, selezioni all’ingresso, status da esibire. L’idea di spazi autogestiti, orizzontali, a contributo libero, in cui la responsabilità è condivisa e non demandata al buttafuori, resta incompatibile con una narrazione che ha bisogno di nemici pubblici facili da indicare.
È forse questo il merito più grande della terza puntata de La Botta: non celebra le droghe, non le “normalizza”, ma le toglie dal registro del tabù e le riporta dove dovrebbero stare: dentro una discussione adulta su salute, lavoro, divertimento, disuguaglianze, controllo dei corpi e delle notti. Ricordandoci una cosa che sappiamo tutti, ma che fa comodo dimenticare: le droghe esistono, e fingere che non ci siano non ha mai salvato nessuno.
