Dalla diagnosi di tumore al cervello alla fuga dal lavoro salariato: la storia di Yousuke Yukimatsu, dj giapponese che ha trasformato la fragilità in una vocazione.
Ci sono vite che sembrano costruite per restare sul margine (e ai margini rimangono tutta la vita, loro malgrado) e altre che — senza preavviso — sterzano bruscamente e trovano un centro. Quella di Yousuke Yukimatsu appartiene alla seconda categoria: una traiettoria che si piega, arriva quasi al punto di rottura, e poi, quasi senza accorgersene, ricomincia a correre in un’altra direzione. E non è la retorica del “ce l’ha fatta”. È piuttosto il racconto di qualcuno che ha scoperto la propria identità quando ormai c’erano poche alternative.
Il tumore al cervello: il punto in cui tutto si ferma
Per capire Yukimatsu bisogna tornare al 2016, alla diagnosi che gli cambia la vita: un tumore maligno al cervello. Non un inciampo, non uno stop temporaneo — un confine netto. Lui stesso racconta che, all’epoca, lavorava di giorno nei cantieri e poi passava le notti nei club, dormendo tre o quattro ore e vivendo in una tensione continua. La malattia arriva lì, nel momento in cui il corpo gli presenta il conto: cure, due interventi chirurgici, un futuro che si accorcia e si dilata allo stesso tempo.
In un’intervista aveva ricostruito quella sensazione con una lucidità disarmante: non poteva più sostenere la doppia vita, non poteva continuare a essere due persone nello stesso tempo. E qui nasce il primo punto di verità: il tumore non è stato un “incidente di percorso”, ma il detonatore di un modo diverso di stare al mondo. La musica, che fino a quel momento era un’ossessione, diventa all’improvviso un’urgenza, quasi un rifugio intelligente contro l’idea di sparire.
L’addio al lavoro salariato: quando non puoi più permetterti di vivere a metà
Prima della malattia, Yukimatsu era un lavoratore come tanti: turni, fatica, poche ore di sonno e una passione lasciata ai bordi. Il lavoro in edilizia gli dava stabilità, certo, ma lo teneva anche intrappolato in una routine fatta di giorni identici, in cui il djing era più un sogno da weekend che un progetto reale.
La diagnosi ribalta tutto: lascia il lavoro, perché non può più reggere quei ritmi e, soprattutto, perché diventa chiaro che il tempo non è infinito. È interessante come lo racconta: non come un gesto eroico, ma come la conclusione inevitabile di un’equazione semplice — o continui così e ti spezzi, o cambi strada. E lui sceglie la strada nuova, anche perché nel frattempo i cachet cominciano a salire, abbastanza da permettergli di vivere solo di musica.
È il classico punto in cui molti parlerebbero di “coraggio”, ma nel suo caso è qualcosa di più asciutto: una presa di coscienza. A volte si cambia vita non perché lo si vuole, ma perché non c’è più modo di non farlo.
La vita da dj: una ricerca continua, sudata e senza etichette
Ed è qui che Yukimatsu diventa davvero Yukimatsu. Non l’uomo che lavora nei cantieri, non il ragazzo cresciuto tra Deep Purple, pop giapponese e Sonic Youth, ma il dj che — come scrivono su Mixmag — può mescolare trance, gabber, trap e house in dieci minuti senza perdere un grammo di coerenza. Quello che si presenta sul palco spesso a torso nudo, immerso in un sudore quasi rituale, come se fosse un linguaggio parallelo alla musica.
Dal 2014, quando DJ Nobu lo invita al suo Future Terror a Tokyo dopo averlo sentito suonare, inizia un’ascesa lenta ma costante: Osaka, Kobe, poi le prime date abroad, fino ai festival internazionali e a quel Boiler Room a Tokyo che, in pochi mesi, supera dodici milioni di visualizzazioni. Non è un percorso patinato. È un’avanzata artigianale, costruita set dopo set, attraversando tutto ciò che esiste tra l’ambient e il rave, passando per collaborazioni come Zone Unknown e per una certa attitudine a trasformare qualunque mix in una piccola narrazione emotiva.
E sì: lui per primo dice di non essersi mai aspettato di viaggiare per il mondo grazie al giradischi. Il suo primo passaporto lo prende a 37 anni, per suonare a Shanghai. Oggi è una presenza fissa nei festival più radicali, nei club che cercano qualcosa di diverso, nei luoghi in cui si entra per essere scossi e non solo intrattenuti.
